: funzione sospesa
2025
Indagine su forme progettuali prive di finalità operative
About:
Milano 2025
riflessioni sul tema
About: è uno spazio dove il design non cerca soluzioni pragmatiche, ma significati. Dove oggetti semplici, raccolti attraverso una call aperta, possono liberarsi della loro funzione e diventare parole di un discorso più ampio. Resistere alla funzioni.
Ci sono oggetti che servono, che fanno cose, che risolvono problemi. E poi ci sono oggetti che stanno lì, fermi, senza apparente utilità, ma che parlano. Parlano di chi li ha fatti, di chi li guarda, del tempo in cui viviamo. Alcuni oggetti di ABOUT, fatti di fascette, lame, setole, carta abrasiva o griglie, appartengono a questa seconda categoria: oggetti che non servono, ma che creano un dialogo tra chi li progetta e chi li vive.
parole di about:
→ Vetromorfosi di Niccolò Foy
→ Lama di lame di Ludovico Spataro
Le fascette di Antonio De Marco non stringono, non uniscono. Si moltiplicano, si intrecciano, diventano cesti e strutture plastiche che richiamano forme note. Assomigliano a vasi, ma non contengono; evocano giochi, ma non si muovono. Sono forme che cercano e generano un ritmo tra linee e punti, curve e segmenti, pieni e vuoti. L’oggetto si libera della sua funzione originaria e si trasforma in pura costruzione visiva.
Le setole di “Fruscio di luce”, parte del percorso artistico di Francesco Zorzi, non spazzolano: intercettano la luce, creano ombre colorate che sembrano respirare e ballare, come un gioco tra materia e immaterialità.
Le lame di “Lama di Lame”, di Ludovico Spataro, non tagliano: disposte con cura come tasselli di un tangram, compongono una figura zoomorfa stilizzata. Il progetto non solo priva l’oggetto della sua funzione primaria, ma ne esalta la capacità narrativa e il potenziale trasformativo. La lama diventa segno, unità linguistica di un alfabeto nuovo.
In “Techno Techne”, Carmelo Zocco trasforma un taglierino in una scultura disturbante: un mostro a sette teste, o meglio, sette lame, che si avvolgono su sé stesse come una chimera tecnologica. È un’icona contemporanea che rappresenta il potere della tecnica, capace di crescere senza controllo. Non serve a nulla, eppure dice moltissimo: ci guarda, ci giudica, ci inquieta.
A questi si aggiunge Vetromorfosi di Nicolò Foy, in cui la carta abrasiva smette di graffiare e inizia a fiorire. La materia ruvida, associata all’atto del rimuovere, si trasforma in una composizione floreale, delicata e composta. I fiori realizzati con carte di diversa grana e colore restituiscono alla carta vetrata una valenza estetica e poetica, accostandola all’elemento naturale che più incarna questi tratti. Anche qui non c’è una funzione da assolvere, ma una presenza da osservare, un gesto da rileggere.
E ancora La regola e l’eccezione di Sovrappensiero Design Studio: un semplice mattone forato di terracotta, archetipo della costruzione, viene modificato. Una delle sue celle interne si deforma, rompe la regola della griglia. È un gesto minimo ma radicale, che costringe l’occhio a fermarsi, a rileggere quella struttura anonima come qualcosa che può accogliere senso. Non è più solo modulo costruttivo, ma frammento di un pensiero. Una piccola deviazione, per suggerire che anche nella ripetizione può nascondersi una possibilità diversa.
→ Techno Techne di Carmelo Zocco
Questi oggetti sono fermi. Non fanno nulla. Ma nel loro silenzio, si impongono come presenze. Il loro gesto progettuale non cerca di produrre, ma di evocare. Non possiamo più ignorarli come facciamo con gli oggetti utili, che scompaiono nel loro servire. Al contrario, sono lì per farsi vedere. Questi sette progetti realizzati per ABOUT ribaltano la dinamica funzionale: privati del loro scopo originario, emergono dal silenzio della loro operatività per reclamare un nuovo spazio di esistenza. Non è più ciò che fanno a definirli, ma il modo in cui si offrono alla nostra osservazione, invitandoci a riscoprire la loro presenza come fonte di significato e bellezza. C’è un’altra cosa che accomuna questi oggetti: non sono mai solitari. Fascette, setole, lame: ogni elemento si moltiplica, si ripete, si accosta a un altro fino a creare qualcosa di nuovo. È una musica, un ritmo visivo. È la stessa bellezza che troviamo in un muro di mattoni, nella trama di un tessuto, nelle tessere di un mosaico. È l’armonia della ripetizione, del fare e rifare, fino a quando qualcosa emerge. Questa molteplicità è un linguaggio universale, una tensione che richiama la natura: l’ordine di un alveare, la casualità controllata delle formazioni minerali, la complessità di una rete di radici. È una bellezza che si genera nell’accumulazione, dove il ritmo visivo diventa narrazione, un racconto silenzioso fatto di dettagli ripetuti.
Viviamo in un contesto che ci chiede continuamente di fare, di essere utili, di produrre. Ogni cosa ha un costo, ogni gesto deve avere un rendimento, ogni oggetto deve giustificare la propria esistenza con una funzione chiara. Ma a volte alcuni oggetti non sono lì per servire. Devono semplicemente esserci. Devono essere liberi. E questa libertà la troviamo qui, in questi oggetti di ABOUT. Fascette che non stringono, lame che non tagliano, carta abrasiva che non consuma, griglie che non ordinano. Sono oggetti liberi, e nella loro libertà si offrono come spazi di riflessione, come frammenti di un tempo che ci invita a rallentare. E ci insegnano qualcosa.
Ci insegnano che non tutto deve avere uno scopo. Che possiamo fermarci, anche noi, per un momento. Possiamo guardarli e magari sentire qualcosa: un’ombra colorata, una forma familiare, un ritmo che ci ricorda qualcosa di lontano. Questi oggetti sono una forma di resistenza. Resistono alla funzione, resistono al mercato, resistono all’idea che tutto sia votato alla performance. Sono piccoli atti di ribellione. Ma in questa ribellione c’è una forza incredibile, una forza che ci invita a pensare, a fermarci, a ritrovare il senso delle cose.
Quando guardiamo questi oggetti, non dobbiamo chiederci cosa fanno, ma cosa ci dicono. Ci parlano di bellezza, di ripetizione, di ritmo. Ci parlano di libertà. Ci parlano di noi, del nostro modo di vivere, di come guardiamo le cose. E allora forse non sono così inutili. Forse servono a qualcosa, dopo tutto. Servono a farci pensare, a farci sentire, a immaginare. In un mondo così rumoroso, forse il loro silenzio è il messaggio più prezioso. E questo, dopotutto, non è affatto poco.
Questo è uno dei primi contributi del nostro journal, uno spazio di riflessione a più voci sul senso del progetto oggi.
→ La regola e l'eccezione di Sovrappensiero ds