: unità minima

2025


Una riflessione sul design come scomposizione, essenza, attenzione alle parti minime

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Milano 2025
riflessioni sul tema

parole di about:

Nella quotidianità, gli oggetti si presentano a noi come presenze intere, compatte, autosufficienti. Li maneggiamo, li interpretiamo, li consumiamo secondo le funzioni che ci offrono, secondo i significati che culturalmente attribuiamo loro. Ma raramente ci soffermiamo a considerare ciò che li rende tali: le componenti invisibili, le regole costruttive, i meccanismi interni che ne determinano l’azione, la tenuta, o il fallimento.
Eppure, è proprio nello spazio tra l’intero e la parte che si attiva una delle facoltà più sottili del design: la capacità analitica, la volontà di comprendere prima di intervenire, di scomporre prima di proporre una forma nuova. In questa prospettiva, progettare non significa soltanto dare forma a un insieme coerente, ma anche indagare la grammatica profonda degli oggetti: le strutture, le relazioni minime, le unità che, nella loro ripetizione o isolamento, generano senso e funzione.

Questo testo raccoglie una selezione di progetti emersi dalle call di ABOUT:, accomunati da un approccio attento all’elemento, più che all’oggetto. Progetti che non puntano a stupire per la loro interezza formale, ma che interrogano i componenti più piccoli, apparentemente marginali: la lama, le linee di una griglia, la fascetta, la setola, il granello. In queste esplorazioni, la parte del tutto è il luogo in cui si concentra una domanda: cosa rende una cosa utile, riconoscibile, politica, fragile?

Guardare agli oggetti da questa prospettiva non è solo un esercizio tecnico o poetico, ma un atto critico. È un invito a spostare lo sguardo verso ciò che solitamente viene ignorato, a riconsiderare il valore del minimo, del singolare, del non visibile. È in questo spazio sottile che il design può tornare a essere un atto di conoscenza, prima ancora che di trasformazione.

→  Fino all’ultimo dettaglio di Gaia Vitali 
→ Boom di Ludovico Spataro 

Micro, di Sovrappensiero Design Studio, nasce da un gesto di riduzione radicale: prendere una sola porzione di lama da taglierino – uno degli elementi che normalmente si spezzano e si gettano – e farne l’intero oggetto. Un taglierino tascabile, compatto, minimale. Il progetto inverte il rapporto tra parte e intero, tra scarto e valore. Mostra come anche il più piccolo frammento possa contenere una funzione compiuta.

In Oggetti individualisti per una società individualista, Ivan Raimondi lavora sul paradosso delle setole: elementi nati per lavorare in gruppo. Uno spazzolino, una spazzola per capelli, una per unghie: ogni oggetto presenta un’unica setola, rossa, visibile. Il progetto ci mostra come l’individualismo, se isolato, annulla la funzione. Non è solo un’esplorazione formale, ma una dichiarazione politica in forma di oggetto.

Istrice, di Vladislav Ganzen, porta lo stesso ragionamento in direzione opposta: prende fascette da elettricista – elementi non pensati per essere setole – e le trasforma in una superficie tattile e funzionale. Curvandole, allineandole, moltiplicandole, dimostra che l’identità di una parte non è fissa, ma dipende dal contesto in cui viene inserita. Qualsiasi elemento può diventare setola, se messo nelle condizioni giuste.

Boom, di Ludovico Spataro, rende evidente la tensione nascosta dentro ogni fascetta. Strumento economico, apparentemente banale, la fascetta racchiude una forza dirompente: se stretta poco, è inutile; se troppo, può distruggere. Il progetto lavora sul potere implicito negli elementi minimi e ci ricorda che la funzionalità è sempre una questione di misura.

In Fino all’ultimo dettaglio, Gaia Vitali prende un foglio di carta abrasiva e lo riduce a un’unità essenziale: un singolo granello di sabbia. La carta diventa “sand-paper” solo se la sabbia è distribuita, organizzata, presente in massa. Il progetto mette in crisi l’idea stessa di strumento, mostrando quanto la forza di un oggetto risieda non in sé, ma nella sua struttura interna, nella rete di elementi che lo compongono.

Ostinato, inutile, umano, di Manuji Colucci, è un atto di catalogazione ribelle. L’autore taglia le reti e le griglie urbane che incontra, e ne conserva un frammento. Un gesto al tempo stesso distruttivo e archivistico. Qui l’elemento minimo non è più funzionale, ma politico: un pezzo di struttura sottratto al suo contesto, per denunciarne la funzione, la presenza, l’ideologia.

Infine, Verticale, orizzontale, di Nicole Giavaldi, lavora con la griglia come sistema astratto. Due specchi, uno con linee verticali e l’altro con linee orizzontali: solo nel riflesso, nell’incontro degli assi, la griglia prende forma. Una struttura che non esiste se non nello sguardo di chi osserva. È un progetto che ci ricorda che la realtà non è data, ma costruita nel punto in cui le cose si incontrano – o si sovrappongono.

Tutti questi progetti condividono una stessa tensione: quella verso la scomposizione, l’analisi, la sottrazione. Non raccontano solo oggetti, ma propongono un modo di guardarli: attraverso le loro cellule, i loro nodi, le loro grammatiche interne. È un’operazione che tocca il senso profondo del design: capire prima di costruire, smontare per dare forma, restituire valore agli elementi primari.

→ Ostinato, inutile, umano, di Manuji Colucci
→ Micro di Sovrappensiero ds
→ Istrice di Vladislav Ganzen
→  Verticale, orizzontale, di Nicole Giavaldi
→  Oggetti individualisti per una società individualista, Ivan Raimondi

Questo è uno dei testi del nostro journal: un archivio aperto di pensieri e progetti che aiutano a guardare il design con occhi diversi.
Una riflessione collettiva su ciò che compone, sostiene, moltiplica. A partire da un dettaglio.

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