: giuseppe valentino
2025
intervista di about:
Indagini sui protagonisti delle call
Ti va di raccontarci brevemente chi sei e di cosa ti occupi? Una piccola presentazione per conoscerci meglio.
Sono Giuseppe Valentino e sono un designer, principalmente di prodotto. Sono nato e cresciuto in Campania, ad Avellino, ma vivo e lavoro a Milano, dove mi sono trasferito ormai dieci anni fa per studiare design al Politecnico. Durante gli anni universitari ho iniziato a collaborare con diverse aziende, sia artigianali che industriali, in ambiti che spaziano dalla ceramica all’arredo, fino al settore aeronautico. Così ho cominciato a firmare i miei primi progetti, spesso in collaborazione con amici-colleghi. Parallelamente, da cinque anni collaboro anche con uno studio più strutturato: lo studio Brian Sironi, dove seguo, insieme a Brian, la progettazione di nuovi prodotti e la direzione artistica di alcune aziende.
→ Haptic Blade di Giuseppe Valentino
→ Deadline Clock di Giuseppe Valentino
Tramite una storia su Instagram postata dal profilo dei Sovrappensiero.
Come hai scoperto ABOUT:?
Mi sembrava un tema interessante e, soprattutto, era una modalità inusuale rispetto alle classiche call. Mi incuriosiva molto il fatto che i progetti di tutti i partecipanti sarebbero stati esposti in mostra, senza selezione. Quello che poi mi ha spinto a partecipare alle edizioni successive è stata proprio l’atmosfera della prima serata al Polignum.
Cosa ti ha spinto a partecipare alla prima call?
E cosa ti ha motivato a prendere parte anche alle edizioni successive?
→ Archetypes - Kore, Opsis, Leirion di Giuseppe Valentino, Aniello Rega e Nello Antonio Valentino
Sei tra i designer che hanno partecipato a tutte le edizioni: come hai percepito l’evoluzione del progetto ABOUT nel corso del tempo?
C’è stata chiaramente una crescita, soprattutto nel numero dei partecipanti ad ogni call, e questo ha avuto un forte impatto sul momento collettivo della mostra. Nelle prime edizioni quella serata per me era il momento in cui guardavo con attenzione tutti i progetti e leggevo ogni testo. Oggi, con un’affluenza così alta, diventa difficile farlo sul posto e finisco per leggere tutto con calma il giorno dopo, dal booklet. D’altro canto, ABOUT è diventato un momento di networking, un punto di ritrovo per tanti giovani designer. E al tempo stesso noto una costante evoluzione interna al progetto: pur mantenendo lo spirito iniziale, ogni edizione aggiunge qualcosa in più — dalla prefazione alla vendita dei cataloghi.
Sono stati tutti stimolanti, ma il primo tema è quello che ricordo con più intensità. Per quella call avevo presentato due idee. Probabilmente anche per casualità più che per il tema in sé. In quel periodo stavo leggendo Designing Design di Kenya Hara, in cui racconta di alcune mostre curate da lui su temi come la pasta o la sensorialità. ABOUT, essendo una novità, mi riportava proprio a quell’immaginario di designer che sperimentano senza necessariamente inseguire il successo commerciale.
Tra i vari temi proposti, ce n’è stato uno che ti ha stimolato in modo particolare? Se sì, perché?
→ Land Use doormat di Giuseppe Valentino
Sicuramente il Land use doormat. Era un progetto che avevo in mente da anni, inizialmente concepito come una serie di tappeti da realizzare nel tempo, seguendo l’evoluzione dei dati ambientali. L’averlo trasformato in uno zerbino è stata una forzatura solamente per partecipare alla call. Inoltre, rispetto alla prima edizione, erano stati introdotti dei vincoli di ingombro: il prototipo finale ha dimensioni troppo ridotte per essere realmente uno zerbino, e accanto ai piedi risulta quasi ridicolo. Questo scollamento nelle proporzioni fa perdere forza al progetto. Quindi sì, mi piacerebbe riprogettarlo: sia come zerbino, sia riprendendo l’idea originale dei tappeti.
Fra i vari progetti che hai realizzato per ABOUT ce n’è uno, o più di uno, che a distanza di tempo vorresti modificare o riprogettare del tutto?
Se sì, ce lo racconteresti?
→ Free carta abrasiva di Giuseppe Valentino
Quale dei lavori che hai realizzato per ABOUT pensi rappresenti meglio la tua filosofia progettuale?
Onestamente devo ammettere che parlare di filosofia progettuale a 29 anni mi fa un po’ fatica. Sicuramente c’è un legame di pensiero dietro gli oggetti presentati per le varie call. Credo sia abbastanza evidente nel trittico composto da Deadline clock, Land use doormat e Free carta abrasiva. Anche se molto diversi tra loro, sono tre oggetti che cercano di aprire un dialogo su temi sociali: la sovrapproduzione legata al sistema capitalista, la crisi ambientale, e la guerra in Palestina. Chiaramente sono consapevole che un oggetto non potrà cambiare nulla però per me è quasi come un atto politico voler dire qualcosa attraverso il proprio lavoro. Da designer, la difficoltà sta nel farlo in progetti che poi possano essere dei prodotti veri della vita quotidiana e non solo dei progetti di comunicazione. In questo sicuramente il Deadline clock è quello che si avvicina maggiormente all’intento. Questo tipo di oggetti, che io definisco oggetti narrativi, sono sicuramente qualcosa che mi interessa e su cui ho lavorato in questi anni, anche al di fuori dell’esperienza di ABOUT. Poi nella mia idea non per forza quello che raccontano deve essere un tema sociale. Può essere una storia, così come uno specifico know-how di chi lo produce o la particolarità di un materiale.
→ Fascette font di Giuseppe Valentino
→ Rete font di Giuseppe Valentino
I progetti di ABOUT possono essere considerati esercizi progettuali, ma alcuni, come i font per ABOUT: Fascette e ABOUT: Griglie, hanno avuto uno sviluppo anche oltre la mostra. Ci racconti com’è andata?
Più che uno sviluppo, è stato proprio il punto di partenza. Inizialmente, per la call delle Fascette, stavo lavorando a una scultura, ma non mi convinceva. Da lì mi sono detto che, come mio punto progettuale iniziale, volevo che fosse qualcosa che avesse vita oltre la mostra. Giocando con le fascette, ho iniziato a vederle come segni grafici, unendole per formare lettere: così è nato il font che poi ho fotografato e digitalizzato. Da lì nasce anche l’idea di sfruttare il progetto per aumentare il traffico del mio sito e di conseguenza la decisione di metterlo in free download dal giorno della mostra. Un amico di recente mi ha mandato una foto di un progetto realizzato da un suo conoscente in cui veniva usato Fascette font: direi che, come esperimento, ha funzionato. Rete font, invece, è nato come evoluzione di quell’esperienza, ma in forma più compiuta. Tecnicamente sono molto poveri ma trovo affascinante l’imperfezione dovuta alla plasticità dell’oggetto fisico da cui nasce il carattere digitale. Mi piacerebbe svilupparli in futuro con una foundry type proprio per renderli più corretti e completi.
Ce ne sono stati diversi che mi sono piaciuti molto. Quello che però mi è rimasto più impresso è Posello di Forniturefuture, presentato ad ABOUT: Setole. Un mio amico, quella sera, mi disse che prima di leggere i nomi pensava fosse un mio progetto. In effetti, ho una certa fascinazione per il posacenere come categoria di oggetto.
C’è qualche progetto di altri partecipanti che ti ha colpito in modo particolare? Cosa ti ha fatto apprezzare quel lavoro?
Credo che ciascuno porti in ABOUT i valori che sente più propri. Io lo vedo come uno spazio di libertà in cui proporre idee che difficilmente si potrebbero presentare a un’azienda. C’è anche una purezza dell’idea senza la sovrastruttura del progetto. Nel senso che poi ogni idea, per diventare un progetto vero, fisiologicamente si deve scontrare con una serie di complessità (produzione, target, costi, ecc.). Poi, secondo me, è presente un valore superiore e comune a tutti alla base di ABOUT che è quello della democratizzazione della partecipazione.
Quali valori pensi sia importante far emergere attraverso i progetti presentati in ABOUT?
ABOUT è un progetto dinamico che cresce anche grazie a chi lo segue e lo sostiene. Secondo te, cosa potrebbe essere migliorato o sviluppato ulteriormente?
C’è sicuramente margine di crescita, sia offline che online. Le location sono una questione complessa, ma spazi più ampi potrebbero far fare un salto di qualità all’esperienza della mostra. Sul fronte digitale, si potrebbe rafforzare la comunicazione, anche se immagino che il nuovo sito darà già un bel contributo in questa direzione.
Per proseguire sul filone degli strumenti del mestiere, proporrei il nastro adesivo. Lo considero indispensabile. E credo che sarebbe anche una sfida stimolante da affrontare come tema.
Come immagini il futuro di ABOUT? Cosa ti auguri per il progetto nei prossimi anni?
Quali aspetti positivi o insegnamenti hai portato a casa da questa esperienza?
Credo di aver imparato molto sulla comunicazione dei miei progetti. Anche solo riuscire a raccontare un’idea in 500 battute è un esercizio estremamente utile. Ma, soprattutto, il fatto di essere “obbligato” a realizzare fisicamente degli oggetti mi ha aiutato a concretizzare idee e a utilizzarle anche per fini auto-promozionali. Anche se è la parte che meno mi entusiasma del mio lavoro, penso che, se si vuole fare questo mestiere, sia quasi inevitabile.
Se toccasse a te scegliere il prossimo tema dell’open call di ABOUT, quale proporresti? C’è un argomento che ti piacerebbe esplorare?
L’augurio più sincero che faccio ad ABOUT è di restare fedele a sé stesso e al suo spirito democratico e partecipativo. Poi a dirla tutta, fin dalla prima serata, ho immaginato che prima o poi si potesse arrivare a una grande mostra collettiva itinerante nei musei del design, con tutti i progetti delle call esposti insieme.
→ Posello di Forniturefuture
→ Designing Design di Kenya Hara